Storie di una maestra

ANNO 3 - ANNO 25

L'estate è (finalmente) passata. E' da quando ho ricordi che non l'ho mai amata. <<Mi piace solo perché c'è il mio compleanno!>> rispondevo candidamente all'adulto che mi chiedeva il perché. A tutti i bimbi piace l'estate! Non c'è la scuola, non ci sono orari, si va al mare. Forse io non sono mai stata fra quei "tutti i bimbi". Comunque, ecco che giugnoluglioagosto se ne vanno, non velocemente come avrei sperato, ma infine lasciano spazio al signor Settembre!

La gioia del fresco, le prime foglie ingiallite, le felpe alla sera...nella mia testa il piacere della stagione autunnale è sempre coinciso con l'inizio della scuola. Proprio alle prime riunioni tra colleghi ho respirato a pieni polmoni l'odore della scuola. Sì, perché la Scuola ha un odore suo e specialmente la Scuola vuota. Non ci sono urla per il corridoio o pezzi di pizzetta per terra; non ci sono maestre che corrono in bagno o bidelli impegnati a misurare la febbre a qualche spaurito bimbo di prima. C'è solo lei, la Scuola, con le sue mura spoglie, pronte ad accogliere un altro anno di progetti, disegni, manate, cappotti appesi, cappotti dimenticati, telefonate "Sono la maestra di suo figlio...", abbracci e urli. La Scuola ci aspetta trepidante "Non vi sarete mica dimenticati di me? Ho passato un'intera estate vuota, nessuna novità, nessun bambino che grida ADESSO L'HO CAPITO, nessun maestro sfinito ma soddisfatto. Mi sono riposata, ma anche annoiata un po'. Dove sono quelle menti fresche e un po' abbronzate? Non vi preoccupate, è solo un'impressione...non vi siete dimenticati tutto! Solo il ritmo...quello forse ci vorrà un po' per riprenderlo! Dai su, appendete qualcosa, coloratemi!! Non vedo l'ora di ricominciare!"

Mi sorride, la Scuola, quando parcheggio davanti al portone giallo. "Eccoti qua, finalmente" le dico "ti giuro che ho pensato a te tutta l'estate!" Ci crede e appena entro sento l'energia del nuovo anno. Fresca, potente, piena di buoni propositi. "Quest'anno non arriverò a giugno sfinita!" ci promettiamo tutti gli anni. Invece è sempre un po' così. L'estate, per quanto lenta e noiosa, serve per ricaricarsi. Bambini e adulti hanno bisogno di riposarsi ed annoiarsi un po', per capire quanto è bello e frizzante imparare e stare insieme agli altri.

Eccolo, è arrivato il 15 settembre. Siamo pronti, abbiamo preparato una bella accoglienza! I bimbi saranno cresciuti? Qualcuno lo vedo già! E' alto!! Ma lei? E' sempre stata così bionda? Eccoli, arrivano. Abbracci, strette, BENTORNATI, e le vacanze?, Maestra sono stato in un posto bellissimo!, Maestra ma che capelli lunghi!!, Maestra ti devo raccontare di questo signore inglese che non ci crederai!

Che frenesia! Che bello!! Non vedevo l'ora! Poi mi scatta qualcosa, faccio un calcolo rapido. Per i miei cuccioli è solo il terzo anno, per me è il venticinquesimo.

25? Ma come...25 anni fa cominciavo ad andare a scuola? Ma non è oggi il primo? O forse ieri? Il mese scorso? 25 anni fa.

 

La Maestra Emma mi accoglie. Benvenuta! Ha un sorriso caldo, potrebbe essere una delle mie zie. La mia amica Benedetta mi prende la mano, sediamoci vicine mi raccomando. Quel bambino l'ho già visto, è simpatico! Mia mamma ha gli occhi lucidi e mi fa le foto, mio padre non c'è. La maestra Rita mi sorride e parla piano, la Maestra Paola ride una risata forte e allegra, i suoi occhi vivaci, i suoi capelli biondissimi. La Maestra Angela ci guarda, seduta sul termosifone, le braccia incrociate, i suoi capelli rossi sembrano un fungo gigante sulla sua testa, ma questo non glielo dico, magari si offende.

Io sorrido, tremo dalla testa ai piedi, ma tremo di gioia. Che luogo meraviglioso, pieno di bambini come me e adulti sorridenti! Che bella, la Scuola!! Sono pronta! Voglio imparare tutto!!

 

Mi ricordo ogni particolare e so che i miei piccoli ricorderanno a loro volta. "Mi sei mancata" mi sento sussurrare in un orecchio. Abbasso lo sguardo, proprio tu me lo dici? Butto indietro le lacrime e lo abbraccio forte. Divento Emma, Paola, Rita e Angela. Me lo ripeto, con orgoglio. Sono una Maestra.

 

OGGI HO URLATO

Oggi la giornata non è cominciata bene. Quando dormi poco e male e appena arrivata a scuola ti danno una notizia poco bella, devi già cominciare a pensare che non andrà tutto come previsto. Il classico “se il buongiorno si vede dal mattino” mi ronzava in testa ogni 5 minuti. Capitano le giornate no e devono essere affrontate, come in ogni mestiere. In qualsiasi altro tipo di lavoro, in giornate come queste, può capitare un battibecco con un collega, una montagna di lavoro che non si riesce a finire, un cliente particolarmente odioso che mandate a fare un giro appena esce dalla porta. Ma nel mio mestiere non funziona così: i miei colleghi molto spesso li vedo quando “non lavoro” (a parte durante le compresenze); la montagna di lavoro da finire me la porto a casa; i miei clienti da soddisfare non superano il metro e 20. Si sa, più velocemente degli squali che odorano il sangue, i bambini sentono nell'aria il nervosismo e in automatico diventano più vivaci, più chiacchierini, a modo loro più nervosi.

Oggi è successo: in un momento di confusione e rumore eccessivo, dopo aver ripetuto la stessa cosa per la decima volta, ho tirato un urlo. Avendo allenato per tanti anni in palestre con acustica da paura, so come usare la voce e so come farla uscire forte e chiara dal mio corpicino. I bambini non se l’aspettavano, quasi quanto io non mi aspettavo di perdere le staffe. Proprio perché non lo faccio mai, le loro reazioni sono state molto varie: c’è chi ha preso un colpo e ha fatto un salto, chi si è zittito, chi si è fatto piccolo piccolo nella sedia, chi mi ha guardato perplesso pensando “ma questa dove la prende tutta questa voce”, chi ha sgranato gli occhi come a dire “ce l’avrà con me?”, chi si è bloccato con le forbici in mano e la fotocopia a mezz'aria.

Una bambina, una sola, ha fatto una cosa che non mi aspettavo. Si è chiusa le orecchie. Si è accorta subito di aver fatto una cosa un po’ esagerata e vedendo, o meglio sentendo, che non avevo intenzione di urlare ancora, le ha subito tolte. Per quel riflesso condizionato, mi sono sentita proprio in colpa. Mi sono sentita talmente in difetto che poi ho continuato la lezione cercando di stemperare la tensione che io stessa avevo creato e dicendo tante di quelle fesserie che hanno tutti riso per la restante mezz'ora.

I bambini sanno cosa aspettarsi da un’insegnante ed abituandoli al non-urlo ho scombinato per un attimo la persona che hanno imparato a conoscere, ho confuso il pensiero di ciò che sono sempre stata per loro. Nel mio gesto di nervoso, lecito purché non esagerato, ho sentito la responsabilità del disagio che ho creato in loro, per quanto piccolo. Non so cos'è passato nella loro testolina, ho provato a rimediare, ma non so se ci sono riuscita. Di insegnanti urlatori ce ne sono a bizzeffe e altrettante classi talmente indisciplinate che portano all'esasperazione. Nella fortuna che ho, di insegnare a bambini per lo più tranquilli ed educati, mi metto nei panni di colleghi che hanno un ambiente meno pacifico e li rispetto ancora di più.

Oggi dopo quell'urlo mi sono sentita sfinita e ho visto l’insegnante che non voglio essere. Il miglior tonico per la mia stanchezza sono stati i sorrisi che sono riuscita a strappare con la parte migliore di me.

IL BAMBINO SPECIALE

Diverso, problematico, a volte etichettato dai compagni più insensibili come "sfigato". Ogni insegnante ha incrociato nel suo percorso un bambino di questo genere che, nel mio piccolo, preferisco chiamare speciale.  Non bambino con Bisogni Educativi Speciali, come si dice da un po' di tempo a questa parte. Semplicemente speciale. Sono quei bambini che non sempre ti ascoltano, hanno una logica tutta loro, spesso si isolano e ancora più spesso ti stupiscono. Sì, perché il bambino speciale ti tira fuori un ragionamento chiaro e lineare quando meno te l'aspetti; non parla tanto, ma poi quando deve scrivere dà sfogo ai suoi pensieri usando la penna come se fosse un prolungamento del suo cervello, a volte con errori, ma sempre con una creatività che non immaginavi; nel dettato fa tanti errori, ma quando deve spiegare una sua esperienza non omette nessun particolare, ha osservato tutto; si impunta quando deve leggere ad alta voce, ma poi usa il suo estro per farti un disegno "fuori dagli schemi", linee e colori splendidi, manualità da artigiano; quando tutti giocano con i tablet, lui o lei legge un libro.

Il problema, come ogni volta che si incontra un bambino speciale, sono quelli che lo circondano, che speciali non sono. Proprio perché sono tutti uguali, e l'essere uguali rende il gruppo più unito e forte, additano le meraviglie del bambino speciale come anormali, solo perché diverse o solo perché non le possono capire. Allora il bambino speciale si chiude, a volte piange, si isola sempre di più e perde quella socialità che lo completerebbe. Mi è capitato di vedere l'oscurità dei bambini speciali e ho provato con una parola gentile a fargli tornare il sorriso, non per forza visibile sulle loro faccette, ma riesco comunque a vedere che ho acceso una piccola luce nel suo buio.

Quando mi capita di vedere i bulletti sbeffeggiare un bambino speciale, li riprendo, faccio ramanzine, lo proteggo. E poi mi immagino il piccolo Speciale che indossa un'armatura da supereroe che gli fa da scudo contro le cattiverie degli altri, ha una maschera che nasconde il suo viso imbarazzato, razzi volanti che lo fanno uscire dal suo guscio, così impacciato com'è. Il bambino speciale si innalza e sorride sardonico alla normalità degli altri.

Me lo immagino, lo saluto dal basso e sorrido anch'io.

LE GIORNATE NO

Come in tutti i mestieri, ci sono le giornate no. Quelle splendide mattine in cui, nell'ordine: per spegnere la sveglia non spingi "posponi", ma "elimina" e ti alzi trafelata mezz'ora dopo; ti si ribalta il caffè; la macchina ha sul vetro uno strato di ghiaccio che ti ci vuole un quarto d'ora per toglierlo; trovi traffico per strada; i bambini hanno deciso a tua insaputa che è la giornata mondiale dell'anarchia.

Ciclicamente, se si è fortunati, una mattina al mese è più o meno così. Arrivi in classe già stanca e ti si parano davanti 20 creature che non ne hanno mezza di ascoltarti. Di solito queste mattine splendenti ti si parano davanti con più frequenza nei pressi del Natale o verso la fine dell'anno. Le menti dei bambini sono rispettivamente con le renne al Polo o con i delfini nell'Atlantico: vorrebbero ascoltarti, ma proprio non parlano la tua lingua, in quel momento. La lezione super-iper-coinvolgente non li scalfisce e alla fine della giornata ti senti come se avessi perso un pomeriggio nel prepararla.

In realtà, ho scoperto (dopo le prime delusioni) che i bambini ti ascoltano comunque, che non sei sempre tu che hai sbagliato tiro (e capita, eccome se capita), ma è la loro leggera e fresca psiche che si sofferma su quelle cose che forse noi adulti abbiamo perso col tempo e la disillusione: la gioia del dormire, l'allegria del pupazzo di neve o del castello di sabbia, la trepidazione dell'arrivo di regali e di giornate senza troppi pensieri. Si ferma lo sport, lo studio, la fretta. Noi, forse, ci sentiamo un po' persi senza le nostre routine; loro semplicemente...se ne fregano. Non è semplice riposo, è perdersi nella nullafacenza.

Le giornate no mi fanno imbestialire, ma sono anche un avvertimento che forse è il momento di allentare la presa. Non è possibile essere sempre concentrati. Nemmeno i grandi geni ci riuscivano...Einstein doveva suonare il violino per rilassarsi dopo tanto studio, Tesla si prendeva fino a 53 caffé al giorno (e un esaurimento nervoso a 25 anni non gliel'ha tolto nessuno), Newton faceva dei micro-sonni ogni 3 ore, Freud fumava come una ciminiera...le giornate no mi hanno insegnato a trovare il tempo per ricaricarmi e, se sono a scuola, rendere il cervello dei bambini leggero.

EDUCAZIONE MOTORIA, QUESTA SCONOSCIUTA

Quando si parla di sport a scuola ci sono 2 grandi tipologie di insegnanti: quelli che “I bambini fanno già movimento al pomeriggio, è 1 ora rubata alle altre materie” o quelli che pensano “No, educazione motoria è importante…si devono sfogare!”.

Poi c’è la mia tipologia: l’educazione motoria, intesa come disciplina, è estremamente importante. E, proprio al pari delle altre materie, avrebbe bisogno di una grande differenziazione all’interno di ogni classe. Se ogni mente di ogni alunno è diversa per come pensa, elabora e apprende, stessa cosa vale, mi viene da dire ancora di più per il suo corpo. Non si tratta solo di conoscenza del proprio essere fisico, ma anche lo sviluppo di una sicurezza motoria che si ripercuote sulla sicurezza emotiva e di conseguenza sociale. Educare il corpo dei bambini vuol dire innanzitutto conoscerlo: sapere fin dove può arrivare, quant'è importante che sia sano (il ruolo fondamentale dell’alimentazione è toccato giusto da progetti saltuari ed esperti momentanei) e che non deve esistere pigrizia e svogliatezza, il proprio corpo è uno e deve essere salvaguardato.

Non entro nel merito della passione sportiva: ne ho vista talmente tanta e malriposta negli anni in cui allenavo piccoli cestisti, che mi è bastata per una vita intera e avrebbe bisogno di un capitolo a sé.

Le buone abitudini alimentari e sportive si imparano in famiglia, è vero, ma esistono tante famiglie che non sanno neppure da dove cominciare. La Scuola, quella deputata all’istruzione a tutto tondo, ha dunque un ruolo fondamentale.

Negli ultimi anni ci si è appoggiati ai cosiddetti “esperti esterni”. Queste figure, più o meno preparate, sono benviste da molti insegnanti per due motivi: ti fanno rilassare per un’ora; sono gratis. Il ruolo degli esperti è niente più che pubblicità. 3-4 lezioni gratuite per far conoscere il proprio sport, la propria società, ancora di più se la palestra della scuola è quella dove svolgono i corsi pomeridiani. L’ho fatto anche io, so di cosa parlo. Finito l’intervento degli esperti, è tutto finito. Si riparte con la solita ora di “palla tra due fuochi”, “palla prigioniera”, “lupo mangiafrutta”.

In America le scuole puntano tanto sull’educazione fisica. A questa è dedicata un’ora al giorno di lezione. I bambini provano, fino al college, una gran varietà di sport, fino a capire qual è più adatto a loro. Non a caso grandi campioni del basket (per dire uno sport) hanno giocato a calcio fino a 14 anni, o addirittura a football fino all’università.

Per questa scarsa importanza che viene data all'educazione fisica nell'ambiente scolastico, ho pensato di proporre ai bambini 10 minuti di pausa "attiva", i giorni in cui ho più ore di seguito. Risultato: i bambini non vedono l'ora di rilassare corpo e mente con la "pausetta" e non mancano di ricordarmelo ogni mattina!

Ecco in cosa consiste:

- 5 minuti di vero e proprio "risveglio muscolare": sulle punte per "prendere le stelline", rotazione delle spalle, del collo (lento e controllato), dei polsi (scriviamo molto, dobbiamo scioglierli), stretching per la schiena, esercizi per gli occhi; poi gli arti inferiori, stretching per le gambe, per le caviglie; e infine piccoli esercizi di coordinazione ("superman");

 

- 3 minuti di "saluto al sole";

 

- 5 minuti di meditazione (yoga nidra).

 

Finisce qui la piccola pausa per corpo e mente. I bambini la seguono con molta serietà e sanno che è un pretesto per alzarsi, muoversi e rilassarsi nello stesso momento. Le prime volte non sono riuscita a far durare la pausetta 10 minuti: l'eccitazione della novità non permetteva molta concentrazione. Ma è anche questa l'importanza della ripetizione del movimento: si impara a svolgerlo correttamente, ma soprattutto si impara a gestirlo da soli. Così, pausetta dopo pausetta, i bambini hanno cominciato a guidare loro stessi il mini-allenamento e ho potuto anche inserire della musica rilassante.

 

La Scuola deve essere un ambiente di conoscenza, non solo dei libri, ma anche di se stessi.

Scusate lo sfogo, torno ad insegnare italiano.

I BAMBINI SONO TUTTI DIVERSI

Ok, sembra una banalità. Ma fino a che non ne hai davanti 20, vestiti più o meno uguali, a cui spieghi la stessa cosa, non te ne accorgi. Tu hai usato le stesse parole per tutti, le stesse immagini, hai dato la stessa attenzione ad ognuno di loro. Eppure, è proprio qui l'errore. Non tutti hanno bisogno della stessa cosa! Ma tu sei una, nella migliore delle ipotesi c'è una compresenza e siete in due...come fai a dare 20 spiegazioni nello stesso momento?

Risposta: non puoi. Come gli adulti (che erano bambini una volta, ma tendiamo a dimenticarcelo), i bambini hanno le loro inclinazioni, i loro punti di forza e debolezza, il loro passato che per quanto breve, è carico di emozioni.

Con il passare del tempo (stare a contatto con i bambini tutti i giorni aiuta) ho cominciato ad avvicinarmi ad ogni piccola vita dei "miei" 54 alunni, cercando di intendere quello che a parole non sanno dirmi. I bambini sono tanto orgogliosi quanto gli adulti, e spesso non vogliono ammettere sconfitta o dire che non hanno capito o che una cosa li spaventa. Con pazienza e senza affrettare i tempi, diversi per ognuno, mi sono appuntata i loro pensieri, le cose che apprezzano e quelle che rifuggono. Uno non voleva leggere ad alta voce ("E se sbaglio e tutti mi prendono in giro?"), uno non voleva colorare ("E' una perdita di tempo!"), una voleva sempre rispondere per prima ("Se una cosa la so e non la dico, secondo la maestra non la so"), una, anche se sbagliava, voleva fare di testa sua ("A casa faccio sempre come voglio!"), un'altra lasciava 20 quadretti al posto di 2 perché aveva problemi nel riconoscere lo spazio ("Io maestra ne ho lasciati 2 come hai detto tu...no?"). A questo, non vieni preparato. Non alle difficoltà che i bimbi possono avere davanti ad un foglio a quadretti, non ai loro vissuti che fanno interpretare una parola all'opposto di come la intendevi, non alle loro piccole paure che noi adulti crediamo futili, e che invece per loro sono di vitale importanza.

Ho cominciato a costruire per una stessa lezione, diversi esercizi e rinforzi (tattili, visivi, cinestetici). Per ogni nuovo argomento ho provato a creare percorsi alternativi. Alternativi rispetto a cosa? Alla tradizione a cui, volenti o nolenti, siamo abituati e legati. Uscire da metodologie tradizionali non è semplice, bisogna mettersi d'impegno per superarle. Non ci sono ancora del tutto riuscita, ma ci sto provando.

Arrivare a tutti nello stesso modo e nello stesso momento non è possibile, ma rimboccandosi le maniche si riesce a fare di uno stesso argomento una decina di lezioni diverse.

Ripeto: rimboccandosi le maniche. Se da insegnante non intendi farlo, PER FAVORE, cambia mestiere.

LA PRIMA SETTIMANA

Durante i primi 7 giorni ho potuto toccare con mano diverse difficoltà a cui nessuno mi aveva preparata.

1) Non è che non puoi...non riesci ad andare in bagno

Non avevo considerato  l'impossibilità di operare in serenità questo gesto così naturale e scontato qual è l'andare in bagno. Innanzitutto, avere un'urgenza durante una lezione (spero non vi capiti mai) vuol dire: chiamare il bidello; interrompere ciò che stavi facendo con conseguente calo dell'attenzione/motivazione/concentrazione che con così tanta fatica avevi raggiunto; sperare che il bidello (che solitamente è al piano di sotto) ti senta e non abbia una delle sue centomila cose da fare (non si fermano un attimo, davvero); partire ai 100 km/h che neanche un centometrista che passa il testimone; svuotarsi completamente (non sono ammesse due uscite, sono troppe energie sprecate); tornare in classe per trovare 3 bambini in lacrime, 2 divisi dal bidello (che nel frattempo ha molti più capelli bianchi di quanti ricordavi); ringraziarlo di cuore e cercare di riprendere il filo (non sempre ce la si fa).

2) Se non ti ricordi di fare SUBITO il registro elettronico, sei spacciato

Il registro elettronico, ve lo consiglio, studiatevelo a fondo nei giorni prima dell'inizio. Il fatto è che, se siete nuovi, è davvero l'ultimo dei pensieri. Sul mercato ce ne sono diversi, alcuni di facile compilazione (grazie Spaggiari), altri talmente complicati che secondo me ci si sono impegnati a creare un labirinto di link e password tale da scoraggiare anche il più impavido degli insegnanti. Il mio non era particolarmente complicato ma, durante la ricreazione, le mie antenne erano talmente tanto impegnate a captare qualsiasi tipo di tafferuglio che ho speso tutte le mie energie lì. Oltre a segnare gli assenti, scrivere nel dettaglio la tua lezione, scrivere i compiti per il giorno dopo, scrivere note disciplinari se ce n'è bisogno, devi anche ricordarti di caricare le programmazioni delle tue materie, controllare che il tuo collega non abbia dato 80 esercizi per il giorno dopo, segnare i voti in tempo utile (e interrogazioni orali in prima non esistono, quindi ogni qualvolta aprivano la bocca), segnare la compresenza chiedendo password a Gandalf in persona, ecc, ecc. Questo giochino richiede almeno mezz'ora del tuo tempo le prime volte. Onde evitare di impazzire, caro neoassunto, placca un'anima buona che te lo spieghi prima.

3) I pc della scuola non funzionano mai

Se hai la buona volontà di preparare il registro prima delle lezioni o caricare un'interessante spiegazione alla LIM, sappi che il pc funzionerà circa 1 ora dopo la tua reale necessità. Il wifi funziona quando più gli aggrada ("Sei nelle prime? Ahahahaha!! Ma mica il segnale arriva fin laggiù!"); windows 10 decide di aggiornarsi nel preciso momento in cui accendi il tuo sudato Power Point super-interattivo; a volte i caricatori (uguali per tutti i PC) spariscono che nemmeno i pantaloni taglia M durante i saldi. Se sei fortunata e ne disponi, portati il tablet da casa, caricati tutto su una penna USB, se proprio sei BRAVA BRAVA, portati il tuo PC (compra una cover di metallo resistente tipo kriptonite perché i bambini tutto ciò che toccano distruggono).

4) Il materiale che ti serve è sempre nell'altra classe

Ti serve un cartellone? O forse la pinzatrice? Quel bel nastro rosso non l'avevi messo nel cassetto? Tutto ciò che cerchi, è nella classe della collega che ha cominciato la lezione e tiene tutti sulle spine con una spiegazione splendida e tu...TOC TOC. "Scusa, prendo le forbici" con un tono di voce filiforme. Lo sguardo della collega è inizialmente serafico "Certo, fai pure". Non fai in tempo a richiudere la porta che..."CIAO MAESTRA!!" "ODDIO COME SI CHIAMA LEI CON GLI OCCHIALI ROSSI??" "FLAVIA...SI' CIAO FLAVIA!!" "CI VEDIAMO DOMANI VERO?". Il volume delle domande è quello di un concerto heavy metal. Cerchi di non guardare nessuno, un generico gesto della mano come a dire dopo vi spiego, l'interesse nella lezione svanito, la collega ha perso tutto il suo aplomb serafico e ora non ti vuole più vedere. Esci facendoti piccola piccola...la colla!!

Vi faccio solo immaginare la faccia della collega al secondo TOC TOC.

5) I temperini

Soprattutto i primi giorni di scuola, i bambini amano temperare tutto quello che capita loro sotto mano. E quanto dico tutto, intendo tutto. Le matite diventano presto mozziconi, il colore rosso e il colore azzurro durano meno di mezza giornata. Le gomme (sì, le gomme) sono un ottimo esperimento di quanto sia affilata la lama del proprio temperino. Ma non è solo la gioia di temperare che interessa ai bambini...è soprattutto l'alzarsi per buttare via i trucioli. Code chilometriche di pupetti davanti al bidone solo per gettare mezza punta di matita (se le punte non se le tengono già da collezione). Ho pensato di mettere un semaforo, così, per avviarli all'educazione stradale, due piccioni con una fava.

L'idea del semaforo non era attuabile, chiaramente.

 

IL PRIMO GIORNO DI SCUOLA

Il primo giorno di scuola, infine, è arrivato. Non so se ero più tesa io o i bambini. Il loro primo approccio alla scuola, il mio primo giorno da insegnante di ruolo.

Nei giorni precedenti, con l'aiuto di tutti i colleghi del plesso, abbiamo preparato un ingresso trionfale dei bambini di prima all'interno della scuola. Per loro era tutto nuovo, per me anche. Abbiamo voluto creare un momento di condivisione massima (230 bambini che giocavano insieme in una palestra con un'acustica da galera) per accoglierli e divertirli.

In un primo momento, bimbi e genitori delle prime sono scesi nel salone, noi insegnanti li aspettavamo trepidanti. Come si comporteranno? Ci sarà qualche intoppo? Ricorderò tutto quello che devo dire e fare? Ammetto che mi tremavano le gambe e mi chiedevo, vestita da pilota degli anni '60, sarei riuscita a rompere il ghiaccio?

[Ricordo quando, in Inghilterra, mi ero trovata davanti una classe di ragazzi tedeschi talmente seri da sembrare finti. Non sapevo come coinvolgerli, come farli parlare, come creare un legame con una cultura che sembrava così lontana dalla mia. Ero tornata nella mia stanza d'albergo demoralizzata e scarica. Ma non potevo gettare la spugna. Il giorno dopo, ero riuscita a farli ridere. Quello dopo ancora a cantare. Quello successivo ad alzarsi e parlare con me, con i compagni, con i gelidi Londinesi. Tutto si può fare, basta avere pazienza.]

I bambini cominciavano ad arrivare con i genitori: questi ultimi, alcuni emozionati e quasi con le lacrime agli occhi, si gustavano il primo giorno di scuola dei loro pupi, e guardavano con interesse quella schiera di maestre giovani e sorridenti a cui avrebbero di lì a poco affidato la sorte scolastica dei loro preziosi.

"Nonfarelascemanonfarelascemanonfarelascema". Nella mia testa c'era solo questa frase. Durante la programmazione dei giorni precedenti avevamo deciso di accogliere i bambini con una danza/gioco che vedeva loro piloti di un maggiolino (il titolo del nostro libro di testo era "Il Maggiolino") e io il capofila che doveva portarli attraverso un percorso tutto matto per "arrivare a scuola". La scelta era ricaduta su di me per il mio passato scout, la mia verve da animatrice di villaggio e la mia faccia da schiaffi!

Avevo i miei occhialoni, la mia sciarpetta ed ero pronta. I 54 bambini, con i loro grembiulini azzurri e rosa, erano schierati davanti a me.

Sono partita con un "Buongiorno" tonante. I bimbi, di tutta risposta, hanno sussurrato un "buongiorno"piccolo piccolo. Ripeto "BUONGIORNO" ancora più forte, e i bimbi seguono alzando a loro volta il volume.

Un bimbo, quasi come a mettersi in mostra, nel silenzio post saluto, alza la voce e dice "Io non sono pronto per la scuola, è troppo difficile per me". "Non ti preoccupare, siamo qui per imparare insieme". Quella frase, non premeditata, era la più sincera che mi poteva uscire dalla bocca. Quante cose dovevamo imparare, entrambi. Già adoravo quel piccolo, spaventato ma coraggioso mini-uomo.

 

Parte il gioco, mettiamo in moto l'auto, salutiamo mamma e papà dal finestrino, nonno e nonna con la mano, e partiamo alla volta della scuola in un percorso pieno di buche, ponti, pozzanghere, semafori rossi e verdi e sgommate.

 

14 GIORNI PRIMA DELL'INIZIO

Una cosa che tutti si dimenticano di dirvi, cari colleghi neoassunti, non è COSA dovete fare, ma COME. Posto che ogni insegnante ha il suo metodo, i suoi strumenti preferiti (sempre che ne abbia...) e la sua personalissima esperienza, a noi, che di esperienza ne abbiamo poca e saltuaria, non ci viene spiegato esattamente cosa fare. La pongo meglio: in una Scuola che si basa sulla passione e sulla fantasia dei docenti più che sulle risorse, le metodologie da scegliere per insegnare uno stesso argomento di una qualsiasi materia sono molteplici e tutte/nessuna giuste per la classe che si ha di fronte. Non esiste un vademecum, né un testo semplice e chiaro su quali siano i pro e i contro di propendere, per esempio, per un quaderno a scacchi da 0,5 piuttosto che uno a righe di seconda. Quello che mi disturba è che ai più sembra una sciocchezza. Eppure io penso alla responsabilità che ho nei confronti dei bambini più "deboli", dell'importanza della scelta di qualcosa che semplifichi loro l'apprendimento e non crei un blocco verso l'esperienza scolastica. La mia fortuna è stata avere una collega nella mia stessa situazione...esperienza più sulla carta che sul campo e tantissima voglia di mettersi in discussione.

Abbiamo agito come qualsiasi ricercatore che non sa da dove cominciare: "interviste" a più insegnanti possibili, riguardo l'annoso problema di quale quaderno usare per insegnare a scrivere. Lei alle sue conoscenze ed io alle mie, abbiamo ascoltato le verità che chi aveva più esperienza ci sapeva dare: "Scacchi da 1 cm, aiutano tutti"; "Righe di quinta, abituateli subito"; "Scacchi da 0,5 cm, aiutano nelle proporzioni e nell'ordine"; "Sei matta? Scacchi da 0,5?? E che casino gli fai nella testa?!"; "Righe in prima? Se si chiamano di quinta un motivo ci sarà!". Siamo arrivati ad un punto che tutto andava male (o bene, a seconda dei punti vista). Alla fine, abbiamo deciso di seguire il consiglio della nostra collega di matematica: quaderno a scacchi da 0,5 cm. Se aveste dubbi, abbiamo constatato, alla fine dell'anno scolastico, che la scelta si è rivelata ottima! I bimbi più in difficoltà, dopo un inizio un po' burrascoso (che avrebbero avuto in qualsiasi caso), sono riusciti a trovare negli scacchetti un valido alleato per trovare delle dimensioni che da soli e con meno riferimenti non sarebbero riusciti a fare così velocemente. Per non parlare del passaggio dallo scacco alla riga che si è rivelato un'ulteriore semplificazione del processo di scrittura. E' stato molto motivante per loro costruire cornicette sempre più difficili. A questo proposito, nella sezione materiale troverete una raccolta di cornicette ed un utilizzo mirato per la conoscenza delle lettere.

In questi 14 giorni prima dell'inizio, le nostre ansie si autoalimentavano, il pensiero di poter fare una scelta sbagliata ci ricopriva di tensione.

Se fossi stata sola, non so come mi sarei comportata. Avere un'alleata e il nostro lavoro in team, è stato un bene prezioso.

Quindi, colleghe neoassunte, trovatevi un'alleata, ancora meglio se all'interno del vostro team. Non lavorate da sole, chiedete, prendete più informazioni possibili, per poi scegliere quella che credete più valida o comunque più affine alla vostra persona e professionalità. Tutti i consigli erano ottimi, ma solo se si sa farli propri e crederci veramente funzioneranno.

Non esiste un testo che ci spieghi, purtroppo...io vi do la mia esperienza personale con più dettagli possibili. E' l'inizio del mio personalissimo manuale!


IL COLLOQUIO CON LA DIRIGENTE

 

Tre mesi prima, l'ultima frase che mi disse la dirigente fu "scegli bene a settembre", come se già sapesse, forte della sua annale esperienza.

Avevo scelto bene, ero tornata. Fuori dall'ufficio le ragazze e le donne neoassunte erano in fibrillazione. Io di una pacatezza che non mi appartiene. L'entusiasmo di cui sopra mi portava ad essere gioiosa più che tesa. Forse questa cosa è trapelata, visto che l'atmosfera mi pareva distesa e i sorrisi pronti. Nella mia ingenuità, ho pensato che avrei potuto continuare ciò che l'anno precedente avevo cominciato, chiaramente con più ore e più classi. L'inglese è sempre stato il mio cavallo di battaglia. Insieme alle attività motorie e alla musica. Insomma, tutto quello che NESSUNO vuole mai fare. Ero tranquilla, confidente. La dirigente e la vicaria mi conoscevano, avevano inteso la mia esuberanza (da contenere, ma comunque costruttiva) e volevano valorizzarmi.

"Allora, abbiamo pensato che potresti insegnare italiano nelle prime entranti!".

Il mio sorriso si è stampato in faccia, un brivido freddo lungo giù la schiena. Italiano? In prima?? Un onore, un onere. Non sapevo se gioire o meno, il cuore a mille. Non sapevo da dove cominciare. Mi è venuta in mente la mia maestra di italiano, l'importanza che ha avuto per me, le innumerevoli cose che mi ha insegnato e ancora adesso so. Una parola sola in testa: responsabilità.

Era una domanda-non-domanda. Mi stavano assegnando un compito che non ero sicura di poter sopportare. Ma non si può dire di no ad una sorridente dirigente. La fiducia che ha riposto in me era troppa per poter declinare. Rimboccarsi le maniche e via andare.

Dopo quel colloquio, ho capito che sarebbe stato un lungo ed intenso anno.

In verità, le parole giuste erano: infinito e al cardiopalma. Ma l'ho capito dopo.


L'ASSEGNAZIONE

 

Al mio ritorno sono stata acclamata nemmeno fossi campionessa del mondo di qualcosa. Eppure era così, il tempo indeterminato mi aspettava. Mutui e nuove spese mi sono subito venute in mente...ma a parte il fisco, ho pensato alla tanto agognata indipendenza.

Una mattina, al provveditorato, mi aspettava una scelta da prendere, il mio futuro da scrivere sotto forma di firma in calce. Appena entrata, mi sono sentita come se avessi un mirino sulla fronte: le insegnanti mi guardavano quasi con disprezzo, "questa è di sicuro entrata con il concorso" sussurravano, "chissà quanti anni ha". Il disagio nel dimostrare 18 anni a fronte di 29, non è facile da superare nella vita quotidiana...figurarsi con dei possibili futuri colleghi. La scelta, in definitiva, è ricaduta su una scuola in cui feci un anno di supplenza. Conoscevo l'ambiente, diversi colleghi, i bambini. Mi è sembrata la scelta più ovvia.

In quella sede ho conosciuto due mie future colleghe. Il mio disagio stava via via svanendo.

Mia madre era comunque più contenta (e cosciente) di me.


IL POSTO FISSO

 

L'assegnazione del posto fisso, per un'insegnante come me, 29 anni, pochi punti in graduatoria e un errore dei sindacati che mi fece saltare tre anni di lavoro, pareva un miraggio. Il concorsone, passato senza infamia e senza lode, mi era parso una grandissima perdita di tempo ed energie, una farsa burocratica che mi aveva fatto vedere tutti i limiti della scuola italiana: insegnanti preparati molto sulle leggi, ma poco sui contenuti; l'utilizzo della tecnologia limitato alla pagina di word; la conoscenza dell'inglese (il concorso è ABILITANTE) pari a sottozero dalla maggior parte dei candidati; un'occhio alla forma e non alla sostanza che mi aveva fatto solo disperare.

Eppure l'ho passato, sono rimasta in attesa, nel frattempo ho preso un volo per l'Inghilterra, dove tramite due colloqui via skype e una full immersion di due giorni a Londra, sono diventata insegnante di inglese a ragazzi stranieri.

Lontana da casa, non conoscevo nessuno, la città bella ma non mia, avevo comunque una prospettiva per fare ciò che mi piaceva di più: insegnare.

Il giorno che mia madre mi chiamò dicendomi che avevo ricevuto una nomina per entrare in ruolo non ci credevo veramente.

Ero fuggita dall'Italia e ora l'Italia mi richiamava prepotentemente a sé. "I tempismi sono veramente sbagliati" pensai. Lo erano, ma non potevo farmi sfuggire l'occasione.

Un biglietto d'aereo costato troppo mi ha riportato a Pesaro. Ero entusiasta: IL POSTO FISSO! Io, 29 anni, con 3 anni di esperienza.

Un po' di paura si è fatta largo tra l'entusiasmo.


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